ottobre 05, 2006

Barcone che vieni, perché arriverai?



Una riflessione sull’informazione e sulla disinformazione di oggi. Perché prima di farsi un’opinione è necessario porsi delle domande.
martedì 29 agosto 2006, di Serena Maiorana

L’altra sera mia nonna mi ha posto una domanda. Eravamo a cena e guardavamo il tg che parlava dei continui sbarchi di clandestini a Lampedusa, ed ecco che lei mi fa: “ma questi qua che ci vengono a fare? Perché non restano a casa loro? Cos’è che cercano? Cosa vogliono?”.

La mia prima reazione è stata di incredulità: come possono non risultare evidenti le motivazioni? Poi all’incredulità si è aggiunta la rabbia: la domanda mi era parsa ostile, e di essere ostile nei confronti di uomini disperati non mi sembra proprio il caso.

In entrambi i casi però mi sbagliavo. La ragione di quella domanda non era l’ostilità di mia nonna, né tanto meno la sua disinformazione. La vera ragione era molto più semplice e, probabilmente, anche più angosciante.

Semplicemente nessuno aveva mai spiegato a mia nonna le ragioni dell’attuale migrazione clandestina dal sud al nord del mondo. Ora: non so quali siano le condizioni delle vostre nonne, ma per la mia questo non era affatto normale. Mia nonna è una che legge, si informa e guarda moltissima tv, compresi i tg e i programmi di approfondimento. Eppure quell’informazione a mia nonna mancava per il semplice fatto che nessuno gliela aveva data...

Per giorni e giorni tutti siamo stati assillati e sommersi da immagini di barconi carichi di disperati. Abbiamo potuto seguire quasi in diretta molti degli sbarchi, e abbiamo sofferto seguendo sui media le ricerche delle molte vittime dei naufragi.

La questione degli sbarchi di clandestini è stata la notizia del momento, e l’interessamento da parte dei media è stato martellante, strabordante, a tratti totale.

Eppure nessuno ce ne ha voluto spiegare il perché. Ed ecco che si pone un’altra domanda: a cosa giova parlare tanto di qualcosa senza chiarirne le cause? Probabilmente a nulla.

O forse serve ad aizzare gli animi contro questo e quello, a creare nella massa sentimenti ed opinioni infondate, a dar l’impressione di informare tanto quando invece non si informa affatto. Così che quegli stessi disperati possano essere chiusi in improbabili “centri di accoglienza” o rimpatriati all’istante nell’inferno da cui provengono senza che nessuno abbia il tempo di chiarirsi le idee.

Così quest’ossessione del modello reality, la voglia, quasi la foga, di essere dentro il fatto, ha distrutto l’informazione in senso stretto. Perché c’eravamo tutti a new Orleans nella furia dell’uragano Katrina, c’eravamo con Erica e Omar nel villino De Nardo ed eravamo anche insieme ai mille e mille disperati che solcano il Mediterraneo in cerca di una vita che sia decente.

Eccola l’informazione che deforma, perché offre un posto in prima fila ma non una prospettiva, uccidendo l’approfondimento e il ragionamento. Così tutti possono farsi un’opinione su tutto anche se in pochi intanto hanno chiaro in testa di cosa stanno parlando. Perché ciò che conta alla fine è continuare sempre a porsi delle domande. Ecco perché aveva ragione mia nonna.

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