giugno 22, 2006

DALL'ETNOCENTRISMO ALLA SOCIETÀ' MULTIETNICA

di Nunzio Famoso

I moderni movimenti migratori, il loro impatto nella cittadella europea, evocano vecchi spettri: l'etnocentrismo e il razzismo.

Si tratta di sentimenti duri a morire, che hanno costituito il cemento delle società moderne e che hanno avvelenato la convivenza tra i popoli. Sentimenti di superiorità che hanno portato ad assumere la propria cultura come parametro di riferimento per giudicare, uniformare, omologare o sopprimere tutte le altre culture.

Presso le popolazioni antiche, caratterizzate da una maggiore o minore complessità organizzativa socio-economica, i rapporti con gli stranieri hanno costituito spesso un ostacolo insormontabile. Il branco di uomini che incontrava un altro branco in epoca preistorica finiva per entrare in lite: lo considerava un nemico se non addirittura un non-umano. Attraverso questo atteggiamento l'individuo difende la sua appartenenza al gruppo, ad un modello socio-culturale: in una parola, il suo appartenere al mondo in quelle determinate condizioni storiche.

Nello stadio preistorico il venire in contatto con forme socio-culturali diverse, che non si riesce spesso a comprendere, mette in crisi e genera diffidenza iniziale verso tutto ciò che è " diverso". Si pensi al "baratto silenzioso": nell'antichità due persone appartenenti a gruppi diversi , per non venire a contatto l'uno con l'altro, abbandonano l'oggetto o gli oggetti che si vogliono barattare in un determinato luogo, perché si possano prelevare in assenza dell'altro".

Si evita così il contatto diretto con lo straniero ritenuto un pericolo. Si pensi anche le antiche cerimonie rituali che avevano lo scopo di purificare lo "straniero" con cui si voleva entrare in contatto.

Si consideri il diverso punto di vista nel ricordare, neppure qualche anno addietro, la scoperta del nuovo mondo: l'Europa ha festeggiato l'inizio di una nuova era di civiltà mentre Indiani d'America ed indios conquistati hanno visto in quella data l'inizio della decadenza di una civiltà.

Un mito degli indiani Cerokee racconta che il Grande Spirito, volendo creare gli uomini, fabbricò tre statuette d'argilla. La prima, estratta troppo presto dal forno, risultò bianca e mal cotta: da essa deriva l'uomo bianco. La seconda era di giusta cottura: da essa provengono i pellerossa. La terza fu estratta troppo tardi ed era diventata nera: da essa discendono i neri. In questa visione bianchi e neri sono il frutto di un errore e portano fin dall'origine il marchio dell'imperfezione. Etnocentrismo pure questo, anche se in difesa del terribile genocidio subito. L'etnocentrismo attraversa tempi e popoli diversi. La storia dimostra che la presenza di altri, dei "diversi tra noi", viene spesso avvertita come una minaccia. Ciò succede perché l'etnos o il gruppo umano al quale si appartiene viene collocato al centro dell'universo e gli stranieri appaiono come intrusi da considerare con sospetto. I greci indicarono con il termine Bàrbaroi (cioè balbuzienti o incapaci di parlare) tutte le popolazioni non greche; gli antichi ebrei qualificano i cristiani come "mangiatori di porco" e gli indù chiamavano i bianchi "mangiatori di vacche", facendo entrambi riferimento a usanze considerate immonde.

La nozione di etnocentrismo non è facilmente dissociabile da quella di pregiudizio e quest'ultimo può essere di volta in volta etnico, sociale, culturale, religioso, sessuale. In più casi questi pregiudizi si intersecano e si sovrappongono dando luogo a una quantità notevole di atteggiamenti che hanno carattere pratico, speculativo, espressivo; essi si manifestano sia a livello individuale sia a livello collettivo. Fin dalle origini le differenti culture strutturano i propri campi di conoscenza in modi assai diversi: i dati che appaiono irrilevanti in una cultura diventano rilevanti per l'altra, fino ad investire le categorie conoscitive e a dar luogo non solo a linguaggi, ma a differenti tipi o stili di conoscenza. Ma non si danno solo etnocentrismi epistemologici, linguistici e percettivi, perché vi sono forme aggressive e discriminatorie che scatenano e giustificano ideologicamente, da un lato, la violenza organizzata e, dall'altro, i processi di "deculturazione", o di distruzione di una cultura, imposti da istituzioni oppressive o esterne. Caste, classi, gruppi, minoranze vengono di volta in volta identificati con il male e perseguitati o sterminati (come i cristiani dei primi secoli, gli ebrei, gli zingari) o dichiarati intoccabili (come i paria indiani) o relegati ai margini della società (come i tra del Ruanda e Burundi).

Il mondo degli etnocentrismi si presenta, già alle origini della storia, vasto e stratificato però non va dimenticato che la mobilità dell'epoca antica è caratterizzata dalle differenze di una primordiale e semplice tecnologia tra gruppi diversi. Ben altra cosa è la divisione sociale del lavoro in epoca moderna perché incide sul cambiamento di scala rispetto alle epoche precedenti: muta infatti l'entità delle differenze tra aree più o meno tecnologicamente avanzate e il potenziale raggio d'azione della mobilità. Nasce allora l'eurocentrismo, quel modo di guardare agli altri popoli avendo come metro di paragone l'Europa, la sua cultura, i suoi costumi, le sue tradizioni. L'eurocentrismo s'impossessa del vecchio continente quando questo comincia a detenere la supremazia tecnologica sul mondo conosciuto, tra il XVI e il XVII secolo, e diviene il centro di una rete migratoria che arriva a coinvolgere il mondo nella sua globalità.

Per qualificare l'altro" venne coniato prima il termine di selvaggio e poi quello di primitivo. Tali termini si caricavano di un giudizio di valore tutt'altro che indifferente. Esso stava a simboleggiare uno stato opposto e inferiore al punto di vista occidentale o civilizzato. Ma attraverso il termine di selvaggio e di primitivo passava non solo l'ideologia della superiorità e del dominio, ma anche una filosofia autocelebrativa: perché l'Europa finiva con l'identificarsi col "progresso". Sarà L.H. Morgan ad interpretare il senso di questo nuovo atteggiamento con la teoria degli stadi di sviluppo: attraverso questa teoria l'umanità procederebbe per periodi ascendenti marcati dal grado di sviluppo delle "tecniche di sussistenza". Si trattava di uno schema filosofico che attraverso il cammino dell'umanità, dalla scoperta del fuoco fino all'invenzione della locomotiva a vapore, inneggiava alla civiltà europea quando questa ebbe la sensazione di trovarsi in vetta alla storia dell'umanità e di poter dominare il mondo. Uno schema riadattato da A.Comte in senso evoluzionistico e da F. Ratzel in senso diffusionistico. E tutto ciò per pensare l'Europa, cioè se stessa, i suoi attributi ed il suo valore, al vertice della vicenda materiale ed intellettuale dell'uomo. Secondo questo teorema i popoli incivili dovevano essere condotti per mano da quelli civili sulla via del progresso. Erano così poste le basi e le radici di un razzismo che ha precedenti illustri, lontani e profondi. Tra Otto e Novecento esso dà prova di interventi brutali in Asia, in Africa, in America, dall'espandersi della dominazione bianca e, all'interno delle società nazionali, della divisione del lavoro imposta dall'evoluzione del sistema industriale. Le dottrine razziste si sviluppano impetuose nell'età del positivismo e oltre, fino a incarnarsi in precisi programmi politici nell'esperienza storica dei regimi nazisti e fascisti.

L'antisemitismo del Terzo Reich e lo sterminio di sei milioni di ebrei, portato a compimento nel corso della seconda guerra mondiale, rappresentano una delle pagine più atroci e crudeli dell'odio razziale.

Ma al contempo rappresentano i resti del mito etnocentrico perché subentra, tra le due guerre, un clima di sfiducia generalizzata e di perdita di identità. L'Europa infatti va perdendo il suo ruolo centrale e con esso una pretesa superiorità razziale. E tuttavia oggi all'interno dell'Europa e soprattutto delle aree metropolitane, che intercettano le attuali correnti migratorie, cresce il razzismo e la discriminazione etnica.

1 commento:

Anonimo ha detto...

proviamo