agosto 23, 2006

L'EDUCAZIONE NON SIA STRANIERA A NESSUNO

da: orizzonte scuola


13 dicembre 2005 - diesse.org
Nell’anno scolastico 2004/2005 il numero degli alunni stranieri presenti nella nostra scuola si è avvicinato alle 400.000 unità, pari ad una percentuale che supera il 4% e ad un ventaglio di 187 Paesi del mondo rappresentati

L'anno precedente la percentuale era del 3,5%, corrispondente a 283.000 alunni con cittadinanza non italiana. Sono dati del Miur, da cui si attende la pubblicazione delle linee guida che non solo aggiusteranno l'entità del fenomeno, ma forniranno anche agli insegnanti suggerimenti e supporti di carattere normativo. I numeri dicono di una realtà che avanza a quote di oltre 100 mila nuovi ingressi all'anno ed implica problemi di carattere sociale, culturale, pedagogico e didattico. Sociale perché gli alunni con cittadinanza non italiana risentono della condizione delle famiglie che hanno alle spalle, delle loro condizioni di lavoro e del loro stato abitativo.

Culturale perché volenti o no i ragazzi stranieri sono immersi in forme di precomprensione della realtà che veicolano il dialogo solo se messe in rapporto con un criterio posseduto dall'insegnante. Pedagogico e didattico perché non sempre è facile comunicare sul piano della lingua e intendersi su quello dei valori di riferimento, anche per l'assenza talvolta di strumenti di lavoro e di studio adeguati. La scuola italiana ha fatto molto per favorire l'integrazione degli alunni stranieri. Ha emanato norme, come la Legge 40/98 che riconosce il diritto allo studio, incoraggia le attività interculturali e promuove le attività di accoglienza in convenzione con le regione e gli enti locali.

Ha fatto anche di più: ha elaborato un modello pedagogico che ha ricadute sulle modalità dell'insegnamento e sulla didattica. Il modello finora dominante è quello della intercultura, figlio del multiculturalismo. Esso si fonda sull'idea che i valori comuni inerenti le varie culture debbano venir fuori, essere posti in relazione, diventare oggetto di programmi scolastici che “superino ogni visione unilaterale dei problemi” (Circolare ministeriale n. 73, 2 marzo 1994). Tuttavia questo quadro di riferimento pensato soprattutto per la scuola dell'obbligo oggi fatica a tenere il passo. L'intercultura, con il sottile richiamo al relativismo culturale che contiene, rischia di formare giovani non del tutto capaci di decifrare la complessità di una società che ha una sua storia e una sua tradizione.

E questo vale sia per gli italiani che per gli stranieri, la maggior parte dei quali non torneranno più nei Paesi d'origine. La ricerca di un lavoro e di una sistemazione spinge i non italiani verso gli istituti tecnici e professionali. Ma il lavoro non è solo questione d'impiego, bensì di comprensione delle modalità in cui si svolge e della rete di opportunità che comporta. Il lavoro è l'es press ione produttiva dell'anima di un Paese. Se non vogliamo precostituire le condizioni del disadattamento (banlieu parigina docet) dobbiamo sviluppare il modello della intercultura nella direzione di una educazione integrale della persona.

In questo senso la proposta da parte dell'insegnante di un percorso che porti alla affermazione di una identità è la chiave di volta di una integrazione non superficiale. Il rischio educativo, ossia la proposta di un significato che nasce dal riconoscimento di una tradizione, è la nuova frontiera del rapporto con le nuove generazioni. E questo è vero a maggior ragione nei confronti degli alunni stranieri. Amici da educare come noi.

Nessun commento: